Inquinamento atmosferico, riscaldamento del pianeta, inquinamento di falde acquifere e di terreni sono soltanto alcune delle conseguenze che le attività dell’uomo hanno sull’ambiente.
E, benché a qualcuno possa sembrare strano, una delle attività a maggiore impatto ambientale è la produzione di cibo e, in particolare, di alcune tipologie di cibo.
Oggi vi presentiamo le 5 tipologie di cibo con il maggiore impatto ambientale e di cui sarebbe bene, quindi, ridurre il consumo.
1. La carne
La carne è, senza ombra di dubbio, uno degli alimenti che causano più danni ambientali.
Tale impatto sull’ambiente riguarda non soltanto l’inquinamento dell’aria, la scarsità e l’inquinamento delle risorse idriche, come si potrebbe pensare, ma anche cambiamenti climatici, deforestazione, erosione del suolo e perdita di biodiversità.
Basti pensare, ad esempio, che le diverse preparazioni a base di carne (che siano esse di pollo, di maiale, di manzo…) si traducono, per ogni kg di carne, in una emissione di anidride carbonica che va dai 3,2 kg per la carne di pollo, ai 4,6 kg per quella di maiale, fino agli oltre 60 kg per la carne di manzo.
Quanto al consumo delle risorse idriche, invece, per produrre un chilogrammo di carne di pollo sono necessari 4.300 litri di acqua, per la stessa quantità di carne di maiale ne servono circa 6.000, mentre la carne bovina ben 15.500.
2. I prodotti lattiero-caseari
Secondo quanto indicato in un rapporto della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), il solo settore lattiero-caseario incide per circa il 4% sul totale delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo nell’arco di un anno.
Questa percentuale tiene conto dell’intera catena alimentare ed include, quindi, le emissioni provenienti dall’allevamento del bestiame, quelle causate dalla trasformazione del latte nei suoi derivati (formaggio, yogurt, burro…) fino alle emissioni dovute al confezionamento ed al trasporto di questi prodotti.
Più precisamente, la produzione di un solo chilogrammo di latte e derivati è causa di ben 2,4 kg di gas serra. Si tratta principalmente di metano, derivante dai processi digestivi delle mucche, di protossido di azoto, dovuto all’urina dei bovini, e di anidride carbonica.
3. I prodotti ittici
Rispetto al settore dell’allevamento di animali da carne, la pesca e l’acquacoltura contribuiscono in misura minore all’emissione di gas serra ma, in ogni caso, si tratta di quantitativi da non sottovalutare.
Anche in questo caso le emissioni sono connesse all’intero ciclo produttivo, dalle operazioni di cattura alle fasi di trasporto, lavorazione e stoccaggio del pesce.
Il pescato
Per quanto riguarda il pesce pescato, l’impatto ambientale è dovuto principalmente a due fattori.
Innanzi tutto, bisogna tenere presente che sempre più spesso (e in molte aree del mondo) gli stock ittici vengono sfruttati al massimo o, addirittura, oltre le proprie capacità produttive.
Per di più, in genere vengono preferite specie ittiche provenienti dall’altro capo del mondo, il che implica una consistente emissione di gas serra, dovuta sia al trasporto sia alle necessarie tecnologie di refrigerazione dei prodotti.
Quante volte, ad esempio, invece di acquistare tonno rosso del Mediterraneo, preferiamo portare sulle nostre tavole il tonno a pinne gialle, proveniente dalle aree subtropicali del pianeta?
Il pesce d’allevamento
Anche l’acquacoltura (ovvero l’allevamento di specie ittiche), specialmente se di tipo intensivo, può avere sull’ambiente un impatto non trascurabile.
Le normali attività di acquacoltura, infatti, comportano una continua immissione (sia diretta sia indiretta) di elevate quantità di farmaci e scarti di cibo negli ecosistemi acquatici circostanti.
4. I prodotti agricoli fuori stagione
Abbiamo detto che gli alimenti di origine vegetale sono meno inquinanti rispetto a carne ed altri prodotti animali. In linea generale ciò è vero, ma deve trattarsi, innanzi tutto, di prodotti agricoli di stagione.
E’ sempre più diffusa l’abitudine di consumare frutta e verdura fuori stagione, il che significa acquistare prodotti coltivati in serra oppure importati. Ma sappiamo quanto inquinamento derivi da questo?
Le coltivazioni in serra o ecosistemi artificiali richiede un’enorme quantità di energia per il mantenimento di temperature idonee, e questa energia è prodotta in massima parte mediante l’impiego di combustibili fossili.
Quanto a frutta e verdura importate, poi, l’inquinamento derivante dal trasporto dei prodotti si somma a quello causato dalle tecnologie di refrigerazione necessarie per conservarli fino all’arrivo nei nostri supermercati.
5. I prodotti agricoli non biologici
A differenza di frutta e verdura biologiche, quelle prodotte con metodi convenzionali comportano, in primo luogo, un impiego di energia decisamente maggiore, dovuto sia alle tecniche sia ai macchinari utilizzati.
Nell’agricoltura non biologica, inoltre, vengono impiegate sostanze chimiche di sintesi (pesticidi, diserbanti, insetticidi, concimi…), il che determina la contaminazione di corsi d’acqua e l’accumulo di residui tossici nella rete alimentare e nell’aria.
Per di più, in questo tipo di agricoltura viene messa in atto un’irrigazione decisamente abbondante, che comporta un consistente impiego (e, spesso, uno spreco) delle risorse idriche.